La nostra storia

Estate 1947: nell’affollata palestra delle vecchie scuole elementari di viale Serafino dell’Uomo se ne decideva la costituzione. L’attività agonistica ebbe luogo l’anno successivo. Rino Radaelli il primo portacolori grigiorosso vittorioso sui traguardi di casa.

Una pedalata lunga settantacinque. Roba da far basire l’Hercules del pedale. Col suo passo il Velo Sport è riuscito a rimanere in pista per tutto questo tempo con vera tenacia. Il primo giro di pedivelle risale nientemeno al lontano 1948. Un bel gruzzolo di stagioni, non c’è che dire. Affermare dunque che esso non ha sentito l’usura del tempo non è per nulla far violenza ai fatti. Il “Velo” non ha mai conosciuto pause. Di stasi manco a parlarne. La sua cera è rimasta bella come una volta e sembra quasi ieri quando furono gettate le basi per la costituzione della società che oggi troviamo alloggiata ai piedi del ponte di Castelletto, presso il Circolo A.C.L.I. San Giuseppe.

Al battesimo, in quelle calde sere d’estate, accese attorno alle dispute su Coppi e Bartali, trovò la sua storica dimora nei locali del vecchio caffè del Carmine. Dietro il suo bancone, fece da notaio il burbero ma simpatico Gianni Re. Da allora sono passati la bellezza di ben dieci lustri. Il tempo di una stagionatura più che formidabile se è vero, come senz’altro vero, che strada facendo le promesse via via svezzate sono risultate decine e decine. Su tutte, com’è noto , hanno svettato quelle da novanta dei Buratti e Tosello. Ma la conta non si ferma a loro. Tirare adesso le somme di quanto è stato fatto in questa cospicua fetta di tempo non è semplice. Tuttavia si può tranquillamente affermare che il bilancio dei risultati messi insieme lungo il tragitto è stato largamente positivo. Decisamente positivo. In ogni caso un dato si impone su tutti ed è quello relativo al comportamento generale della società in questi anni di viva presenza nell’agone sportivo. Il Velo Sport è stato, infatti, prima di ogni altra cosa, una riconosciuta scuola di vita. Unitamente ai consigli sul come stare in bicicletta, sul come alimentarsi, sul come gareggiare, i ragazzi che hanno vestito le maglie grigiorosse hanno immancabilmente appreso validi insegnamenti per divenire innanzitutto uomini. Aspetto tutt’altro che secondario.

Non poteva essere diversamente coi personaggi che in questo ampio arco di tempo hanno retto le sorti del sodalizio. Un lavoro paziente e costante ha accompagnato questi pieni settantacinque anni di attività grigiorossa nel campo dilettantistico del ciclismo su strada. E i primi insegnamenti vennero da un ex campione della statura di Bruno Pellizzari. Altri come lui fecero il resto. Dirlo così si fa presto ora, ma se si pensa ai sacrifici che ciò rappresentò, non si può che dare merito a quanti si fecero carico di tanto fardello, senza perdersi d’animo e senza accampare pretesti per tagliar corto. Va detto senza timori, che non alcuni atleti della stagione scorsa mancarono in seguito anche le stagioni magre, quelle cioè meno entusiasmanti delle altre. Ciò non ha comunque mai costituito motivo di impaniamento. Anzi quando capitò di non essere al meglio, la volontà di ben figurare ha sempre fatto vincere le “magre”, spronando tutti alla ricerca di condizioni migliori, vale a dire di nuovi portacolori capaci di risollevare le sorti. Di risollevarle e di ridare smalto all’azione formatrice degli atleti, svolta instancabilmente dal vivaio locale.
I tempi di Rino Radaelli, il primo promettente ragazzo che diede stura agli arrivi vittoriosi nelle competizioni più lontane che videro cimentarsi il Velo Sport, fanno ormai parte di un’ ”era in soffitta”. Fu quel ragazzo tenace l’artefice delle prime imprese immediatamente oggetto di una sana esultanza da parte degli sportivi abbiatensi. Radaelli era un passista veloce, dotato di buona classe e con un fiuto in corsa che non era da tutti, e le sue vittorie corroborarono a dovere l’entusiasmo degli “aficionados” di casa nostra. Era un “allievo” di primo pelo, ma già dimostrava di essere in possesso di un bagaglio atletico rispettabilissimo. Non fu in ogni caso solo lui a tenere vivo ad Abbiategrasso il fuoco della passione per le due ruote. Tra i dilettanti, Zefferino Osnaghi, muratore, Mario Albini, operaio e Gianni Rossi, studente (quest’ultimo figlio di Domenico, il primo presidente), insieme al vigevanese Gallinati, furono a loro volta “clienti” tutt’altro che disprezzabili nella loro agguerrita categoria.

Toccò a loro la cosiddetta parte dei pionieri. E l’attenzione per quella nostra folta nidiata di corridori, manco a dirlo, raggiunse il massimo. La società da par suo era protesa, letteralmente protesa, a dar loro l’occasione per fare centro. Come già detto, la preparazione degli atleti era nelle mani di quel navigato volpone di Pellizzari, già campione italiano nella velocità professionisti per il periodo anteguerra, nonché protagonista azzurro alle Olimpiadi di Los Angeles. Gli dava una mano Angelo Ferrari, un ex dilettante che ai tempi suoi aveva spopolato nei dintorni. Il loro apporto e quello dei reparti fiancheggiatori facevano del Velo Sport un fulcro di agonismo di primo piano. Crebbe l’esperienza e in seguito venne il resto col nome di Giuseppino Buratti a riempire le cronache spotive dei maggiori giornali. Quasi tutte le domeniche i colori grigiorossi erano sul pennone più alto. Veniva così coronata quella grande speranza cullata in un’estate irripetibile.
Aveva fatto da incubatrice la palstra delle vecchie scuole elementari di viale Serafino Dell’Uomo, dopo un’assemblea affollatissima di sportivi che sancì la costituzione del clan ciclistico nostrano. In quel non dimenticato giorno d’estate venne gettato il seme. Erano gli anni (1947) in cui la passione per il ciclismo stava al top. La gloriosa Unione Sportiva Abbiatense si avviava ad esaurire la sua funzione e gli sportivi locali non potevano restare senza la possibilità di mostrare i propri artigli. L’occasione si prestò per preparare con l’anno successivo il nuovo sodalizio. Nuovo di pacca. Così si fece luce il Velo Sport dietro la spinta dei vari Vittorino Pisaroni, Siro Foj, Sandro Mereghetti, Bollati, Gino e Giuseppe Bozzi, Cislaghi ed altri ancora.
Ricordi che riportano a una stagione ricca di fervori. Simpaticissima la disputa che avvenne sia sul nome che sui colori da adottare. Si scelse ad esempio il nome di Velo Sport al posto di quello di Pedale sulla scorta di quanto si apprendeva dai giornali circa le prestazioni degli atleti del Velo Sport Reno di Bologna. Bravi corridori ai quali si guardava con ammirazione. Ci si chiamò quindi in quello stesso modo.
Più controversa risultò la scelta dei colori. Chi la voleva cotta e chi la voleva cruda. Ebbe la meglio la proposta di Gino Bollati di fare nostra la maglia della “Frejus”, fascia rossa in campo grigio perla. Fatalità volle che alcuni anni dopo quella maglia divenisse la prima maglia da professionista di Giuseppe Buratti.
Settantacinque anni orsono avvenne dunque l’inizio del lungo cammino.